Dalla Traspadania alla Lombardia
Il geografo greco Strabone, nella sua Geographia (sec. I d.C.) descrive il territorio a nord del Po come una regione simile al Basso Egitto, caratterizzata da fiumi e paludi, irrigata attraverso canali ed argini e in parte navigabile. Così infatti la trasformò l’occupazione romana quando la Lombardia, denominata “Transpadana”, divenne l’undicesima regione augustea dell’Italia. Al centro della Pianura Padana, per 600 Kmq., si estende il Lodigiano tra i fiumi Lambro, Adda, Addetta e Po. Il paesaggio è caratterizzato da campi che i filari dei pioppi e gelsi delineano geometricamente, e da canali, borghi medioevali, chiese del rinascimento, castelli maestosi e cascine isolate che per secoli sono state il cuore della cultura contadina di questo territorio, considerato il più fertile di tutta l’Europa.
Il fiume Adda e la Bassa lodigiana
Dal passo di Alpisella, dove nasce ad ovest dello Stelvio, il bacino dell’Adda occupa una superficie di 8000 Kmq, per una lunghezza complessiva di 313 Km. Attraversata tutta la Valtellina, il fiume entra nel Lago di Como uscendone a Lecco; si dirige poi verso sud fino a Trezzo d’Adda e, piegando verso est, si allarga nella piana “bassa” del lodigiano per confluire da sinistra nel fiume Po a monte di Cremona. Anticamente su questa valle fluviale si formò un grande deposito di ghiaia e sabbia che, ostacolando il deflusso della acque, ne provocava la tracimazione degli alvei originari. Nacque così una vasta zona paludosa, interrotta da “isole” e popolata dai primi insediamenti palafitticoli.
La leggenda del Lago Gerundo
L’invasione dei Celti e poi dei Galli Insubri (sec. V a.C.) colonizzò il territorio tra l’Adda e il Serio. La bonifica delle zone paludose, destinate a varie colture, si intensificò in epoca romana (sec. III a.C.) con la creazione di opere idrauliche che arginarono e incanalarono le acque responsabili di impaludamenti malsani. Ma con l’abbandono delle terre, in seguito alla fine dell’Impero Romano, quelle opere furono ricoperte dal bosco. Le acque, non più regolate dai canali, formarono nuove zone paludose. Al tempo dell’invasione longobarda (sec. VI d.C.) la natura si era completamente sovrapposta alle
opere dell’uomo ed il paesaggio della “bassa” era caratterizzato da boschi ed ampie paludi quasi disabitate. È appunto in questo periodo storico, tra il VI e il VII sec. d.C., che gli studiosi ipotizzano la formazione di una vasta palude chiamata Lacus o anche Mare (deriv. da mara, palus, lacus ecc.) “Gerundo” dalla voce dialettale lombarda gèra, gerù, gerùn che significa “ghiaia”). Il territorio del leggendario Lago Gerundo può essere idealmente collocato all’interno di un triangolo irregolare delimitato dal corso dei fiumi, Adda, Serio e dal Fosso Bergamasco ed attualmente condiviso da quattro province: a nord e ad est dalla provincia di Bergamo, oltre il fiume Serio; a sud da quella di Cremona e ad ovest, oltre l’Adda, dalle province di Milano e Lodi.
Il drago Tarantasio
Nelle “morte” o “mortisse”, le acque stagnanti del Lago Gerundo, alla sinistra dell’Adda, il fetore emanato dalle acque putride ammorbava l’aria e causava epidemie mortali, al punto che dalla paura del popolo nacque “Tarantasio”, il drago. Già nel I secolo d.C. i romani avevano innalzato in questi luoghi malsani un tempio alla dea Mefite. Nel passaggio dal mondo pagano a quello cristiano, il culto a protezione dalle acque mefitiche fu sostituito da quello di San Cristoforo, il martire palestinese convertito al cristianesimo (sec. III d.C.) che, secondo la leggenda, aiutava i viandanti ad attraversare un grande fiume e che una volta avrebbe trasportato anche Cristo, apparso sotto le spoglie di un fanciullo. Al santo ausiliatore, le popolazioni del Lago Gerundo si rivolsero quando il drago partorito dalla loro fantasia l’infestava con il suo alito pestilenziale, dopo essere sceso a valle con una piena dell’Adda. Ancora intorno all’anno Mille si racconta che lo scheletro del “biscione” fosse appeso sotto la volta della chiesa di San Cristoforo a Lodi.
Paullo e i suoi uomini illustri
Quattro delle sezioni del Premio Nazionale “Lago Gerundo” sono dedicate a personaggi illustri del passato collegati a vario titolo con la cittadina di Paullo. L’antica Padule (”palude”), oggi moderna cittadina dell’alto lodigiano, lega il futuro al suo passato storico e leggendario con l’obiettivo di costituirsi un’ascendenza identificabile su cui fondare le proprie autonome scelte in campo culturale. Gli organizzatori del Premio di Paullo, che non è lontana dal perimetro ideale del leggendario “Lago”, hanno intitolato la Sezione Poesia a BARBAPEDANNA, al secolo Enrico Molaschi. Vissuto nell’Ottocento per un lungo periodo nella nostra cittadina, questo personaggio è ricordato dal Boito come il più grande cantastorie lombardo. La Sezione Narrativa porta il nome di FILIPPO DA LAVAGNA; contemporaneo di Gutemberg e di Panfilo Castaldi, fu uno dei primi tipografi umanisti italiani. FRANCESCO DE LEMENE, al quale è intitolata la Sezione Teatro, fu librettista nella seconda metà del Seicento; scriveva il Muratori: “In Lombardia siami lecito il dire che la gloria d’avere sconfitto il pessimo gusto è dovuta a Carlo Maria Maggi e a Francesco De Lemene…” Ad AMBROGIO DA PAULLO (sec. XV) è legata la Sezione Saggistica; Ambrogio fu cronachista e Castaldo nella corte ducale degli ultimi Sforza ed è ricordato per una sua Cronaca milanese dal 1476 al 1515. Al servizio degli Sforza fu anche BERNARDINO CORIO, autore della “Patria Historia”, al quale è intitolata la Sezione Storia, Narrativa e Tradizioni popolari di Milano e Lombardia.
Un Premio letterario tra Storia e leggenda
Che sia esistito o no un “Lago Gerundo” ed in quale esatto perimetro, lasciamo agli studiosi il compito arduo di portare a definizione una questione ancora irrisolta. La Città di Paullo e il suo Assessorato alla Cultura hanno inteso comunque adottare i valori simbolici della leggenda in quanto costruzione dell’uomo parallelo allo svolgimento della sua storia. Costruire dèi, leggende e letteratura risponde ad un bisogno profondo dell’animo umano. Per sottrarsi alle brutalità della Storia, alla fuga del tempo, ai vuoti di senso della vita, l’ingegno sente spesso la necessità di rifugiarsi nella letteratura e nelle leggende che in genere nascono quando qualcuno svela le antiche e le dichiara false o vere. In quei momenti, negli angoli bui della Storia, c’è chi correrà ad inventarne altre, come se avessimo sempre più bisogno di misteri che di verità.